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Immagine del redattoreVescovo Salvatore Corrado

“Non Resistere troppo alla Misericordia” Lettera Pastorale di inizio anno 2024-2025


“La parola della Croce  è stoltezza per coloro che vanno in perdizione”

(1 Cor. 1,18)



Il pensiero fondamentale di Paolo su questa pericope della Sua Lettera, si concentra sulla considerazione di quelli che si salvano, come perduti se non aderiscono alla parola della Croce. Solo coloro che ricevono con fede la Parola della Croce saranno salvi. Fra tutti noi, c’è qualcuno che si perde: l’uomo vecchio.

L’uomo vecchio è l’unico che non può ricevere la parola della Croce, è follia per lui, la rifiuta come scandalo. Senza lo Spirito Santo nessuno può essere salvato; nessuno può vedere altra cosa nello spettacolo del male se non l’inaccettabile follia denunciata da San Paolo.

Quando gli uomini perdono la fede a causa del problema del male, delle morti innocenti, della sofferenza, della malattia; possono perderla anche di fronte a Gesù crocifisso. Non è facile conservare la fede di fronte alla crocifissione di Gesù. Nemmeno gli Apostoli ci riuscirono! Nessuna giustificazione al male può essere compresa dal cuore degli uomini, e non solo perché essi sono peccatori, ma solo perché lì c’è una sapienza così alta, così divina, che nessuna spiegazione umana può renderla accettabile. L’uomo che non è stato tentato, non sa nulla e, colui che è tentato non può ricevere nessun aiuto dalle spiegazioni umane.

Il libro di Giobbe è un chiaro esempio di questo ragionamento. Nella sofferenza di Giobbe a nulla sono valsi i discorsi degli amici, neanche quello di Eliù; l’unica cosa che è riuscita a placare il cuore di Giobbe è stata la manifestazione del volto di Dio e, questa è l’unica cosa che può placare il cuore degli uomini che sono nella sofferenza. Anche se questa manifestazione, nel caso di Giobbe è stata imperfetta, debole, comunque è valsa a far sì che Giobbe facesse esperienza della beatitudine dell’aver torto nei confronti di Dio.

Il Mistero del Male porta con sé una follia di Dio (1 Cor. 1,25) e nessun discorso può rendere accettabile questa follia ai peccatori come noi, né ai ciechi. Se la manifestazione di Dio non entra nel cuore degli uomini, non li riconcilia con essa e non li rende partecipi di essa. Paolo afferma che solo lo Spirito Santo è capace di trasformare il nostro modo di considerare il male; “Lo Spirito Santo scruta ogni cosa … così anche i segreti di Dio, che solo Lui conosce” (1 Cor. 2,10-15). Noi non abbiamo ricevuto lo Spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato. L’uomo naturale, non comprende le cose dello Spirito di Dio, esse sono follia per lui, perché non può giudicarle per mezzo dello Spirito. L’uomo spirituale, invece, giudica ogni cosa senza poter essere giudicato da nessuno.

Per poter capire che la follia di Dio è una sapienza misteriosa, che è sconosciuta ai sapienti di questo secolo (1 Cor. 2,7), non c’è che un solo modo: lasciarsi invadere da essa! lasciamoci pervadere dallo Spirito di Dio e gusteremo così quello che scoprì Giobbe e quello che sperimentano tutti i giorni i santi, cioè avere coscienza piena che la follia della Croce è la più alta sapienza, la più deliziosa, l’unica veramente desiderabile.

È nella preghiera che possiamo raggiungere l’estasi, da questa Sapienza che non ci riconcilia con il male, ma con il fatto che Dio lo permetta, senza alcun dubbio, per trarne un bene maggiore; tutto questo però, non è abbastanza per soffocare la nostra rivolta, se non ci lasciamo possedere dallo Spirito di Dio. Essere posseduti da questa follia, non significa avere piena conoscenza del Mistero del Male, ma lasciare che si propaghi in noi un fuoco ardente (Ger. 20,9), che non ci permette più di sfuggire all’adorazione, che ci inchioda la faccia al suolo e ci fa ripetere con Giobbe: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono”(Gb. 42,5-6).

Grazie a questa follia, faremo esperienza della nostra assoluta incapacità di sopportare una semplice puntura di spillo, smascherando quindi, la debolezza della nostra carne, quell’egoismo che resiste alla Grazia e sfugge alla sofferenza con una violenza inaudita. Quando lo Spirito ci possiede, fa nascere in noi il desiderio disperato di seguire Gesù Cristo, di portare la nostra Croce ogni giorno per poter assaporare in anticipo la delizia inesprimibile della Sapienza che possiede il Mistero del Male. In questo modo possiamo diventare i poveri a cui Gesù ha promesso il Regno dei Cieli, pregando senza sosta, in modo tale che Gesù ci sottragga all’Inferno, di cui conosciamo bene la minaccia. L’unica risposta cristiana al problema del male è questa: “i piccoli, non hanno nulla da temere” così come scrisse S. Teresa di Gesù Bambino. Il dono dello Spirito Santo è saper guardare a Cristo in croce come la manifestazione del più intimo segreto di Dio: quello del Suo amore per noi. Di fronte alla Croce, dobbiamo guardare non alla sofferenza, ma al Cielo, così come fece il buon ladrone quando sulla croce al fianco di Gesù disse: “Ricordati di me quando entrerai nel Tuo Regno!”.

Gli empi vedono la Croce, non vedono l’Unzione, cioè il Cielo; se vediamo solo la Croce, perdiamo di vista il Cielo, correndo il pericolo di perdere la Fede, così come successo agli Apostoli, la notte della Passione. Domandiamo al Padre la Grazia di poter sentire il Cielo attraverso lo sguardo di Gesù che ci risponde: “Oggi stesso, sarai con me in paradiso!”.

Gesù ha aperto le porte e per questo ora possiamo essere posseduti dalla Sua Gloria nell’oscurità della Fede. allora cominceremo ad intravvedere il Mistero della Misericordia. Essa è lo sconvolgimento di quelli che sono nel Cielo, di fronte a quelli che non vi sono. Tutto quello che noi possiamo e dobbiamo fare è accettare che la Misericordia faccia capovolgere la nostra barca, spazzando via ogni cosa al suo passaggio. Tutto quello che possiamo fare, è non resistere troppo quando questa follia, busserà alla nostra porta.

Il significato ultimo della Croce non è solo quello di riscattarci, ma fa molto di più. Viviamo tra due abissi: quello del peccato, che a modo suo è infinito e, quello della Misericordia, ancora più vasto del primo. Solo Dio può vedere ciò che perdiamo con il peccato; solo Lui conosce la tristezza nella quale il peccato ci fa sprofondare.

I peccatori si privano della felicità di Dio, Egli la vede e non rimane indifferente ad essa; il solo bisbigliare il contrario è una bestemmia. Dio ci punisce per correggerci, per aiutarci ad uscire da quella zona d’ombra. Questa è la Misericordia: lo sconvolgimento viscerale di Dio (cfr Gen. 6,6)  di fornte all’infelicità del peccatore. La Misericordia, non è un dolore, ma non è neanche nulla, è una sensibilità infinita, che si radica nell’amore infinito, raddoppiata da un infinita conoscenza dell’infelicità dei peccatori.

Questa compassione, questo sconvolgimento, è una comunione attiva ed infinitamente violenta i cui effetti si rivelano nei frutti della Misericordia. Il primo, il più dolce di tutti, è l’offrire e il domandare allo stesso tempo a Suo Figlio incarnato. di riflettere nella propria carne questa non-indifferenza, questa comunione all’infelicità dei peccatori.

Questo però non è possibile, senza una conoscenza umana del peccato, di Satana e dell’inferno. Tramite la Croce, Gesù entra nel vivo di questa conoscenza fisica dell’infelicità del peccatore, questo è il Verbum Crucis. Gesù mentre subisce la ferita divina, la canta e la manifesta al di là di tutte le parole umane, compresa quella del dolore. Il Santo Sacrificio della Messa è il memoriale di questo “orrore” visibile, la cui predicazione anima la devozione della Chiesa fin dalle sue origini. Ma è proprio attraverso questo “orrore” che Gesù conosce l’inferno nella ferita di Dio: la Misericordia! Egli è bruciato dalla Misericordia, muore di Misericordia.

La Croce non è solo, e non può essere soltanto sofferenza; essa è un’alchimia tra il Cielo e l’inferno all’interno del nostro cuore; un’alchimia che è allo stesso tempo olocausto, nel quale le tenebre e l’orrore del rifiuto dell’amore, sono bruciate dall’Amore che l’inferno rifiuta. La Croce diviene uno schiacciamento; Dio e Gesù sono oppressi dal Male e questa compressione, essendo una compressione per amore, si trasforma in beatitudine. Il Sacrificio della Croce, è un olocausto che racchiude, sorpassa e consuma al fuoco della Misericordia, il snaguinoso sacrificio del Venerdì Santo, preparazione di questo olocausto.

Dopo la Croce e la sofferenza, sopraggiunge la Risurrezione; Paolo nella Lettera ai Colossesi parla di un Mistero nascosto da secoli (Col. 1,26) “Se dunque siete risorti con Cristo … siete morti e la vostra vitaè ormai nascosta con Cristo in Dio” (Col. 3,1-3). Paolo proclama qualcosa di nuovo: la Grazia trinitaria è proposta dal Cristo ora sotto il regime della Gloria.

Proclamando l’alterco tra il Cielo e l’inferno nel cuore del Cristo e dei cristiani, Paolo proclama che la Grazia ha cambiato regime, essa non è più solo il germe, ma è l’esplosione della Gloria nell’oscurità della Fede. Questo è il Kerigma di Paolo. La vita e la morte si affrontano in un duello prodigioso che comporta due fasi:


  1. il combattimento e il martirio;

  2. la vittoria e la consumazione (vittoria Pasquale).


Morire al peccato significa permettere alla potenza della Risurrezione di crocifiggerla legge del peccato iscritta nel nostro corpo di morte. Una volta consumata questa morte, l’uomo spirituale continua ogni giorno a morire sotto l’instancabile persecuzione di Satana e dell’inferno. Gesù e gli uomini spirituali, hanno una carne che assomiglia a quella del peccato, muoiono ogni giorno per risorgere tutti i giorni, aspettando di morire un’ultima volta per poi risorgere definitivamente.

Dal momento in cui i cristiani più carnali iniziano a credere alla follia della Predicazione, essa diventa per loro odore di vita, la loro carità diventa un fuoco divorante. Ma finché la loro carne di peccato, i loro corpi di morte, vi si oppongono, quella Carità non li brucia con l’intensità che ci si augura. Essa comincia a bruciarli grazie agli effetti dello Spirito Santo, i quali trasformano l’uomo carnale in uomo spirituale. la forza venuta dall’alto e donata nella Pentecoste, va identificata con la potenza della risurrezione.

Se i cristiani non induriranno i loro cuori, saranno sottomessi alla spinta dello Spirito Santo che viene dalla gloria di Cristo e che ha la prerogativa di portarla al Cielo. È il Cielo che contempliamo, quando guardiamo Gesù Cristo sulla Croce e nella Gloria; è il Cielo che tocchiamo e che mangiamo. Attraverso Gesù, il Cielo diventa abbastanza presente affinché possa essere desiderato fino a morire!

Il Cielo è lo stesso Gesù, ed i cristiano non possono entrarvi, senza prima essere entrati in comunione  con la Misericordia. Ecco perché nell’Ultima Cena, Gesù ha compiuto il folle gesto di lavare i piedi ai suoi discepoli; gesto che canta l’amore trinitario nella follia della Sua gratuità. Questa follia è il fuoco che anima il cuore di Gesù, che gli fa desiderare di infiammare il cuore dei discepoli con quello stesso calore, di abbeverarli alle sorgenti di acqua viva, di cui la vita trinitaria è l’origine e quel fuoco sarà l’esplosione finale che incendierà la terra e provocherà la Parusia.

Che anche noi possiamo ricevere questo fuoco nella nostra vita e riuscire ad essere infiammati e allo stesso tempo infiammare di amore e misericordia, coloro che il Signore ci pone dinnanzi. Buon anno Pastorale figli amati dal Signore!


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